DB Multiverse
Hanasia, la Regina dei Saiyan
Scritto da Salagir
Traduzione e adattamento di Crix, Prosavio e ItsAMeLuigi
Questa storia si svolge sul pianeta dei Saiyan, ben prima che questi diventassero il popolo di sterminatori che portò terrore in tutta la Galassia all'epoca di Re Vegeta. Se ti sei mai chiesto in che modo queste persone così potenti vivessero in comunità, se vuoi conoscere le sorti dei Guerrieri Millenari che hanno preceduto Broly, se le avventure di una frenetica ed emotiva guerriera in un mondo crudele ti tentano…allora entra nel mondo della Saga di Hanasia!
Parte 1 :123
Parte 2 :4567891011121314151617
Parte 3 :18192021222324252627282930313233343536373839404142434445
Parte 4 :464748495051
Dopo la battaglia
A milioni di anni luce di distanza, una specie di Obi-Wan Kenobi ebbe una reazione improvvisa e spalancò gli occhi. Del sudore si accumulò nelle sue sopracciglia e la sua disperazione venne notata dalle persone circostanti, che in precedenza erano stati occupati dai loro compiti.
— Che c'è? — Chiese uno di loro. — Cosa ha sentito, Maestro Binorgo?
— Il nostro figlio peregrino… La vita l'ha appena abbandonato. Molto, molto lontano da qui.
Gli altri presenti si girarono, confusi. Fermarono tutti le loro varie attività, artistiche o manuali per la maggior parte, tranne un bambino che continuò a giocare facendo galleggiare piccole rocce.
Un adulto si avvicinò al suo anziano:
— Sfortunatamente avremmo dovuto aspettarcelo. Ha scelto una vita di combattimento e pericolo.
— Ma… — iniziò un altro.
— Ma non rimarremo con le mani in mano — , continuò il primo. — Io dico di riportarlo indietro. Forse stavolta sarà d'accordo di rimanere con noi.
— Anche io credo che meriti una seconda occasione. Era troppo giovane per andarsene così presto. Nemmeno centenario!
— Siamo tutti d'accordo — , concluse il patriarca. — Cari amici, radunatevi in gruppi e andate nelle altre capitali. Io vi aspetterò qui.
Il giovane si alzò e si dimenticò del gioco:
— Vengo anche io, anche io!
Il piccolo gruppo si alzò in volo senza sforzo per fare il giro del pianeta, un viaggio di sei tappe.
Ci misero poche ore per raggiungere la città più vicina, ma grazie alla telepatia, i cittadini erano già informati. Erano riuniti con sorrisi e abbracci. Avevano preparato un piccolo banchetto di acque distillate.
Il gruppetto bevve e chiacchierò sotto alberi giganteschi e millenari, coperti da fiori e sottobosco, che vibravano leggermente nel vento in comunione con gli esseri bipedi con i quali vivevano in armonia. Infatti, vedendo un ramo sul punto di seccare, la persona più vicina si prese l'impegno di alzarsi, toccarlo e, concentrandosi, instillarvi parte della propria forza vitale. Il ramo guarì immediatamente.
Discussero dell'ordalia per ottenere l'artefatto. Era un gioco innocente e gioioso, più una tradizione che altro. Dopo aver risposto senza neppure un errore a una lunga serie di domande, e inventato per l'occasione una breve poesia, i visitatori se ne andarono con la ricompensa stretta fra le braccia.
Attraversarono borghetti dove gli abitanti facevano segni di saluto, augurando loro buona fortuna e vera felicità.
Nella città successiva, c'era un funerale. Quando un anziano moriva, veniva onorato per trentatré giorni. Tutti si radunavano sulla sua tomba, dove piante magnifiche già crescevano.
Solo un anziano poteva morire. Lasciando da parte le potentissime abilità curative di quel popolo e la loro completa immunità alle malattie, e la mancanza di pericoli, se un giovane fosse morto accidentalmente, sarebbe stato immediatamente riportato in vita, come stava facendo il gruppo in quel momento.
Dopo incontri accorati, il gruppo scelse un candidato che combattesse il campione locale. I due si salutarono, si sedettero nella posizione del loto e chiusero gli occhi. Tutti gli spettatori sincronizzarono le proprie menti e videro il vero confronto psichico fra i due avversari. Fu un magnifico, lirico scontro di menti. Né un combattimento mentale, né di parole, ma più che altro una mescolanza di impressioni, pensieri ed emozioni. Un'arte che solo i più grandi esseri potevano praticare, e che quella specie avrebbe perduto completamente durante la sua quasi estinzione mezzo millennio dopo.
Lo sfidante non aveva possibilità contro il veterano. Ma non era importante. Vincere non era mai stato l'obiettivo. Quando il compito venne completato con successo, ricevettero congratulazioni e la sfera sacra.
La terza capitale era la città pi
grande sul pianeta. Lì risiedeva il Gran Patriarca, un essere potente e anziano, su di cui al momento pesava il potere degli artefatti. Dall'alto dei suoi cinque secoli, diede loro il benvenuto personalmente nonostante tutto, in piena salute, nonostante le rughe che tradivano la sua età. Fluttuava al ritmo di musica morbida e gentile, suonata da parecchi amici, grandi musicisti che si erano allenati a lungo, e un giovane ed entusiasta novellino che faceva errore dopo errore. Ma non aveva importanza, perché la musica era un successo, nonostante ciò che si faceva. Era il risultato di millenni di perfezionamento delle arti musicali.
Il gruppo comprese e tutti, tranne i due che portavano le sfere, fecero apparire magicamente degli strumenti nelle proprie mani.
Suonarono tutti insieme, imparando gli uni dagli altri e creando una nuova orchestra.
Il vecchio patriarca li ringraziò e consegnò il suo artefatto.
Nella quarta capitale ci fu una dissertazione. Dopo lunghi scambi verbali che sembravano non finire mai, venne consegnata loro la quarta sfera.
Nella quinta capitale, dovettero lanciare piccole pietre, per una lunghezza di chilometri. Non c'erano bersagli alla fine, ma giardini, e l'obiettivo era disegnare qualcosa di armonioso. Se ne andarono in fretta dopo un altro banchetto con cinque membri che adesso portavano gli artefatti.
Nella sesta, ci fu uno scontro fisico.
Consapevoli della propria forza immensa, la maestria dei movimenti era essenziale, e per questo i due guerrieri, guerrieri possenti i cui corpi erano adattati specialmente all'essere forte, si scambiarono colpi in un'area ristretta, circondati da fili sottili che si reggevano a stento su delle spine. Erano costretti a ridurre gli spostamenti d'aria creati dai loro corpi per impedire ai fili di cadere. Un'arte difficile perché i loro pugni penetravano facilmente la roccia e un semplice movimento dei loro palmi poteva creare un piccolo uragano.
Ci fu un momento di angoscia quando parte di un filo si staccò. Lo sfidante, rapido come un fulmine, mandò una piccola e precisa onda d'urto contro il terreno, che rimbalzò, e risospinse il filo verso l'alto. Un altro soffio l'avrebbe rimesso a posto. Il suo avversario sorrise vedendo la bellezza e l'ingegnosità della tecnica, ma non ci sarebbe andato piano! Si posizionò fra la spina e il suo avversario e lo attaccò direttamente. Lo sfidante allungò il proprio collo, essendo tale capacità non limitata alle braccia. Passando attorno all'altro, soffiò sul filo che riprese la sua posizione originale. A seguito di altre manovre e molte sorprese, ricevettero congratulazioni, e finalmente l'ultima sfera, e auguri di buona fortuna e vera felicità.
Tornati al punto di partenza, lasciarono cadere gli artefatti insieme a quello già posizionato in quel luogo. Riconoscendosi, le sette Sfere del Drago vibrarono all'unisono e si accesero. Loro dissero le parole e la magia partì.
Il cielo, pure permanentemente illuminato dai suoi numerosi soli, si scurì e apparve una creatura gigantesca. I suoi invocatori espressero il loro desiderio.
— Riporta il nostro fratello perduto alla vita e a casa, o potente Porunga!
— È… facile… — risposte il dio dei sogni.
L'anima di Bourgo lasciò il paradiso e fluttuò, invisibile e incosciente, verso il suo pianeta natale. Poi, venne resuscitato e il suo corpo venne ricostruito.
Il guerriero Namecciano battè le palpebre e si girò verso i volti familiari che non aveva visto per molto tempo.
La riunione fu sentita e calorosa. Grazie alla sua rigenerazione, Bourgo non conservava né cicatrici né ferite, ma il suo sguardo era cambiato. Era andato lontano e visto cose terribili che molti non avevano vissuto. Parecchi Namecciani erano un po' spaventati da questo.
— Cari amici, mi piacerebbe usare il secondo desiderio delle Sfere del Drago.
— Non starai già pensando di andartene? — chiese un genitore, non proprio soddisfatto. Un bambino Namecciano si spaventò all'idea che il suo fratellone fico stesse per teletrasportarsi di nuovo lontano, verso lo sconosciuto.
— No, il mio posto è qui. Ho visto molto e fatto anche di più. Adesso il mio dovere è raccontarvi. Raccontarvi dell'universo, dei mondi che ci circondano. La nostra conoscenza è piuttosto obsoleta. Il mio desiderio sarà per un'altra persona.
Nel villaggio di Hanasia, il giorno stava sorgendo, perché questo pianeta aveva un unico sole. Questo non impediva a molti dei suoi residenti di essere svegliati dalla prima carezza della luce, e per coloro che vivevano troppo lontano da un tetto, da parecchie gocce di pioggia brutali e sporche. Stavano conducendo i soliti affari quando improvvisamente ma silenziosamente, Hanasia apparve nel bel mezzo del villaggio.
Il primo ad accorgersene si girò e gridò:
— Hanasia!
Lei voltò la testa in ogni direzione. Il suo villaggio? Appena ricostruite, non riconobbe le case, ma gli abitanti erano proprio i suoi amici d'infanzia. Non era più nello spazio? Si guardò le mani, le braccia, e i vestitit. Non aveva alcuna ferita dalla battaglia e i vestiti non erano strappati.
— Eh… Ehi —, disse, costernata.
— Carino che ci vieni a trovare —, disse uno dei suoi amici stretti, salutandola.
Hanasia divagò nei suoi pensieri: "Sono nella vita dopo la morte di cui parlano le leggende? Non erano solo chiacchiere? Fa davvero schifo, morire, se significa solo tornare esattamente dove vivevo! Allora ho fallito, e anche tutti gli altri sono morti!"
— Hanasiaaaaaaaa! — strillò Harik, che si era svegliato alla prima menzione del suo nome, e le stava correndo incontro.
— Non se ne parla proprio, piantala di darle fastidio —, ordinò un adulto sul suo percorso, e che stava per lanciarlo da parte con un calcio.
Il bambino scansò il colpo astutamente, scivolando sul terreno, passando al disotto. Saltò al disopra di un altro Saiyan e volò per alcuni secondi, il suo limite, per troversi a cadere con Hanasia come punto d'atterraggio. Aveva le braccia aperte e cadde di testa, con un sorriso stupido.
Hanasia sollevò la testa verso di lui, sorridendo, e stava per riceverlo come di dovere. Ossia con un ceffone ben piantato che l'avrebbe schizzato dall'altro lato del villaggio.
Poi, messa a confronto con il candore del suo fidanzatino, rivide la propria decisione e lo afferrò fra le braccia e lo strinse.
— Ah, Harik, non ti posso sopportare per l'eternità, quindi siamo tutti vivi!
Il bambino mise le braccia attorno alla sua fidanzata e afferrò una mano con l'altra, decidendo di non lasciarla, mai più. Hanasia fece qualche passo verso i suoi amici, ignorando il koala che portava.
— Che si dice, sapete cos'è successo? Me ne sono andata per combattere i Demoni del Freddo nello Spazio. Tutto è esploso, e poi… Mi sono ritrovata qui.
— Abbiamo visto l'esplosione! Era in alto nel cielo! — disse una delle persone lì intorno. — È stato ieri, sapevamo che eri tu che combattevi, perché la cantastorie ci ha detto del tuo viaggio, con gli Tsufuru e gli alieni!
— E devi essere caduta qui, alla fine.
— Dovevi stare molto in alto se ci hai messo tutto un giorno a cadere!
— Forza ragazzi, facciamo una festa per il ritorno della Regina!
Alcuni se ne erano già andati per cacciare la cena e verso il fiume per qualche botte d'acqua fresca. Hanasia guardò al cielo che era chiarissimo e non mostrava alcuna traccia di ciò che era successo più lontano. Non sentì alcun potere, nessun combattimento in corso.
Così una cantastorie era venuta al villaggio, doveva aver detto loro, come ordinato, che l'arruolamento per il nuovo esercito era annullato. Il loro cantastorie precedente, Mahissu, era andato nello spazio con lei. Lei doveva essere l'unica sopravvissuta.
— Mahissu è morto —, disse ad alta voce.
— Ahah! Meglio così! — strillò Harik, raggiante.
Lei lo colpì in testa con un bel colpo ma lui rimase incollato.
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